Dalle diocesi
CHIAMATE A CONTEMPLARE IL MISTERO DI DIO UNO E TRINO
Omelia di S.E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, per la consacrazione nell’Ordo virginum di Sandra Dell’Atti e di Laura Dattila
È una domenica speciale questa della Santissima Trinità. Celebriamo la festa che ha al centro il mistero principale della nostra fede, la rivelazione più grande che Gesù ha dato alla sua Chiesa e all’umanità.
Gesù ci parla del Padre continuamente nel Vangelo – pensiamo alla preghiera che ci ha inse-gnato (il Padre Nostro) – e ci parla dello Spirito Santo, il Consolatore, lo Spirito di Verità che a Pentecoste scende sugli Apostoli e dà inizio alla Chiesa. In questa festa della SS. Trinità la liturgia ci invita ad adorare, contemplare e accogliere nella fede il mistero di Dio uno e trino: la sua vita in-tima, le relazioni delle tre persone divine e il loro rapporto con l’umanità.
Dio è unico e non ce n’è un altro al di fuori di lui, recita il comandamento della rivelazione dell’Antico Testamento. Gesù conferma questa unicità assoluta di Dio, ma rivela la sua vita intima. È uno e nello stesso tempo trino perché in Lui convivono dall’eternità tre persone uguali e distinte: il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
Dalla diocesi di Ferrara-Comacchio: la consacrazione di Veronica Tonello
Ormai da qualche anno, di tanto in tanto - mai per caso - torna in voga l’argomento “OrdoVirginum”. Quando ciò avviene, pur senza che ne abbiamo piena coscienza, sta per accadere qualcosa di eccezionale nella nostra diocesi. La Chiesa di Ferrara-Comacchio sta per ricevere il grande dono di una o più donne laiche consacrate secondo il Rito della ConsecratioVirginum. E’ accaduto qualche anno fa e l’evento si è rinnovato domenica 7 ottobre: nella nostra Cattedrale, per le mani dell’Arcivescovo Mons. Paolo Rabitti, è stata la volta di Veronica Tonello.
La fede: un salto nella luce
La verginità consacrata trasparenza dell’amore divino
Omelia di Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, per la consacrazione verginale di Marina Venturi
Da malato a guarito, da guarito a chiamato: è il percorso seguito da Bartimeo, il cieco che all’inizio del vangelo abbiamo incontrato seduto lungo la Gerico-Gerusalemme a mendicare, e al termine vediamo allontanarsi in dissolvenza, al seguito del Figlio di Davide, in cammino verso la croce. Il tratto dai bordi della strada al punto in cui si trova Gesù in transito è appena di pochi passi, ma il salto è enorme: il figlio di Timeo passa dall’essere non vedente al credere ciecamente, dal ritrovarsi un povero emarginato al diventare un seguace innamorato del suo guaritore e salvatore, Gesù di Nazaret. In una parola, Bartimeo passa dall’oscurità più totale alla luce più avvolgente e penetrante. Ma chi l’ha detto che la fede è un salto nel buio?
1. Ricostruiamo il cammino di fede di Bartimeo. Gesù è appena partito da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, ma quanti di coloro che gli vanno dietro riescono a ‘vedere’ il suo vero volto e a intravedere in quel volto il profilo del Messia destinato alla croce? Quanti, a cominciare dai Dodici, hanno veramente afferrato il perché di questa enigmatica ‘spedizione’ alla volta della città santa? Quanti invece credono ciecamente che si stia andando verso una schiacciante vittoria dell’Unto del Signore sui suoi implacabili avversari? Del resto come acconsentire anche alla sola ipotesi di un Messia fallito e sconfitto?
Ma a Bartimeo la cecità ha affinato l’orecchio: non appena sente lo scalpiccio della gente e intuisce i passi del rabbi Nazareno, comincia all’istante a ‘vedere’ la verità di Gesù: è il Figlio di Davide, il Messia, l’atteso, l’unico che potrà finalmente avere pietà di un poveraccio come lui. Nel suo grido implorante, nella straziante invocazione di pietà che giunge dai bordi della strada, comincia a profilarsi in chiara luce il volto misericordioso di Gesù e il miserabile volto del povero. Tra parentesi, non siamo forse tutti dei disgraziati, prima di incontrare il Figlio di Colui che “innalza gli umili e rimanda i ricchi a mani vuote”? Per la prima volta rabbi Jeshù non censura il riconoscimento della propria identità messianica, anzi è l’unico che capta, tra le impietose strilla della folla, il grido supplicante del cieco. E all’udito finissimo di Bartimeo la risposta imperativa di Gesù – “Chiamatelo!” – si traduce direttamente in voce attraente, e suona come appello che invita a docile, fedele sequela.
Appena ricevuto il messaggio, il cieco getta via il mantello, il segno biblico della forza dell’uomo, l’unico riparo per la notte, la sua misera tana ambulante, ma qui forse ‘quel’ mantello rappresenta anche il simbolo di mortificanti pregiudizi discriminatori. Con uno scatto fulmineo, il figlio di Timeo balza in piedi, proprio come un morto che risorge, e corre a tentoni verso quella misteriosa sorgente di attrazione, che gli restituirà molto più della luce per distinguere perimetri e contorni di oggetti e soggetti di questo mondo. Insieme alla luce per gli occhi, il Figlio di Davide gli dona il lume interiore per discernere la verità più luminosa e più ardente. Questa: che il Dio d’Israele vuole bene anche a lui. Ecco ciò che il cieco comincia di nuovo a vedere: la propria umana dignità, specchiata nel gesto di misericordia da parte di quell’Uno che la riconosce e la promuove. A un Dio così si può credere ciecamente. E ciecamente si può andare dietro a un Messia così.
2. Adesso possiamo salutare Bartimeo, incamminato, come un autentico discepolo, sui passi di Gesù diretto a Gerusalemme, per tornare indietro nel vangelo, ed entrare con l’evangelista Luca in una sinagoga – poniamo, di Cafarnao – dove il Nazareno ha appena operato un altro miracolo. Si tratta di una povera donna ricurva, che da diciotto anni non riusciva in nessun modo a stare diritta (Lc 13,10-17). E’ un miracolo, al quale mi è venuto da pensare per associazione di idee, meditando sul vangelo di oggi. Ecco come lo rilegge con fine sguardo introspettivo uno scrittore contemporaneo (F. Parazzoli). Dopo aver osservato come da troppo tempo, prima di Gesù, lo spirito dell’umiliazione e della sopraffazione avesse imposto alla donna di restare curva sotto il fardello di odiose leggi maschiliste e di ataviche, intollerabili superstizioni, questo scrittore mette in bocca alla povera donna parole di fuoco, rivolte contro scribi e farisei: “Nei vostri calendari non vi è neppure un giorno buono per la liberazione della donna. Egli, invece, appena mi vide entrare nella vostra sinagoga, riconobbe in me i guasti che lo spirito delle vostre leggi ha operato sul mio sesso fino a renderlo schiavo delle vostre presunte sapienze. Anche il rispetto verso Dio avevate usato per tenerci piegate. Ma egli vide tutto questo nella mia persona e benché fosse di sabato, e benché fosse in una sinagoga, volle risanarmi. Anzi, a voi che alzate la voce, a voi che protestate, io voglio dire: solo perché era di sabato e solo perché si era nella sinagoga, egli mi volle guarire”. Però non solo ‘guarire’ – dobbiamo aggiungere – ma ‘liberare’. Infatti alla poveretta, nell’imporle le mani, Gesù ha detto una parola, mai udita prima sotto il cielo: “Donna, sei libera”.
3. Adesso salutiamo anche la donna liberata da Gesù, e dalla sinagoga di Cafarnao ritorniamo alla nostra Cattedrale, per venire a te, Sorella carissima. Ci domandiamo: in che senso e in che modo Gesù ha liberato la donna? L’ha liberata dalla schiavitù del marito, dei figli, del lavoro. Come ha abolito ogni discriminazione sociale, tra padroni e schiavi; come ha cancellato ogni discriminazione razziale, tra giudei e greci; così Gesù ha azzerato ogni discriminazione sessuale, tra maschi e femmine (cfr Gal 3,28). Come ha rialzato dalla polvere della strada il cieco di Gerico, così Gesù ha fatto andare la donna ricurva a schiena dritta e a testa alta. Ecco la parola liberante che il rabbi Galileo rivolge alla donna: “Alzati!”, rimettiti in piedi, cammina eretta. Vivi un vita verticale, respira il vento della libertà, affrancata da gioghi e dipendenze, emancipata da maschere e paure. Tu puoi guardare Dio negli occhi, e Dio non si stanca di salutarti ogni mattino con il suo buongiorno: “Non temere!”. Ciò che invece ti butta a terra è la paura. In latino, avere paura, pavère, ha la stessa radice di pavimento. La paura è ciò che ti atterra, ti abbatte come si batte la terra per livellare il pavimento. “Fino a che non siamo chiamati ad alzarci / non conosciamo la nostra altezza, / ma se ci alziamo davvero / arriva fino al cielo la nostra statura” (E. Dickinson, poetessa statunitense dell’Ottocento). E uno dei segni più vistosi della emancipazione cristiana della donna è la verginità. Con Gesù si verifica un vero sovvertimento per i suoi contemporanei, per i quali il non sposarsi o il non avere discendenza era ritenuta una sciagura, se non addirittura una maledizione divina. Ormai la donna può scegliere il suo futuro e non è più costretta a vivere in funzione dell’uomo. Gesù è stato il primo e praticamente l’unico ad avere aperto alla donna la strada della verginità per il regno dei cieli. Perché è nell’evento di Gesù che si è compiutamente svelata la natura dell’amore. Rispetto all’AT la rivelazione dell’amore si è come capovolta: i profeti partivano dall’amore umano per comprendere qualcosa dell’amore di Dio; nel NT si parte dall’amore di Dio, che si è reso visibile in Cristo, per comprendere l’amore dell’uomo” (Maggioni). La prima Lettera di Giovanni (4,10) lo dice chiaramente: “Da questo si comprende che cosa sia l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Dio che ha amato noi”. Questa rivelazione è un’autentica rivoluzione. La verginità è il segno che la sessualità, l’essere uomini e donne, racchiude in sé un appello, non un destino; dunque l’essere donna non è una condanna, è una vocazione. La verginità è la prova del nove che tu, sorella, sei amata: testimonianza di un amore ricevuto, che ti rende libera e gioiosa, capace di amare gli altri senza legarli a te stessa.
Ma ora ci poniamo un’ultima domanda: come è che avviene che una donna cristiana scelga la verginità? E’ solo per un innamoramento folle, per una irresistibile, totalizzante attrazione d’amore. Infatti non ci si innamora di una grande idea, né di un altissimo valore, fosse pure la pace o la giustizia, e neanche di una nobile virtù, fosse pure la povertà o la castità o la carità. Ci si innamora solo di una persona. E quella persona può essere solo Gesù, che ti ha amata e ha dato se stesso per te. La verginità è un modalità d’amore che meglio lascia trasparire l’amore di Dio. E questo perché la verginità è un modo di amare tirandosi da parte, togliendosi di mezzo, per lasciare libero campo a Dio e al fratello o alla sorella.
Cercare l’amore di Dio come possibile e come l’unico amore necessario, assoluto ed eterno; non dedicarsi a nessuno in modo esclusivo, ma lasciare che siano i percorsi della vita a proporti quel fratello o quella sorella che ha bisogno di trovare in te una trasparenza della compassione divina; coinvolgere tutta te stessa, anima e corpo, nell’attesa di un altro Sposo, Gesù, del quale tutti gli sposi della terra sono immagine e figura: tutto ciò è possibile e può riempire una vita.
“E’ motivo di gioia e di speranza vedere che oggi torna a fiorire l’antico Ordine delle Vergini, testimoniate nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano; pur restando nel mondo, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo Sposo” (VC 7). Ecco pertanto le tre componenti che strutturano il ‘genoma’ del carisma dell’Ordine delle Vergini: la verginità, poiché la vergine si consacra anima e corpo a Cristo Signore come suo unico sposo; la diocesanità, poiché la vergine si consacra nella e per la Chiesa particolare; la secolarità, dal momento che la vergine vive nel mondo, ma non è del mondo.
Quella di questa sera – che vede la nostra sorella carissima, Marina Venturi, consacrarsi nell’Ordine delle Vergini – è la prima che avviene nella nostra Diocesi. Sorella nostra, ti auguriamo e ci auguriamo che altre sorelle scelgano pubblicamente di seguire lo Sposo divino dovunque egli vada e dovunque egli le vorrà condurre.
Rimini, 28 ottobre 2012
+ Francesco Lambiasi
Ostuni: Esercizi Spirituali Ordo virginum Puglia 2012
A ridosso di un paesaggio ridente, ricco di suggestioni, pavide all’aurora, forti e aspre al lucore del giorno, deboli e dolci all’orlo della sera, intense e gravide di segreti la notte, il centro di spiritualità “Madonna della Nova”, dal 13 al 18 luglio scorso, ha accolto noi consacrate nell’Ordo virginum pugliesi. Già alcuni giorni prima, attraverso il relatore, mons. Giuseppe Satriano, il Protagonista degli Esercizi Spirituali, ci aveva raggiunte con un vademecum, perché avendo noi ha accolto la sua ispirazione e ardentemente desiderato intraprendere il “santo viaggio”, lungo il cammino non smarrissimo le Sue vie nel nostro cuore, le cui porte avrebbe aperto solo Lui, con modalità e in tempi a noi sconosciuti.
I giorni trascorsi insieme sono stati meravigliosi! Essi si sono giocati tutti sull’ascolto “continuo” della Parola, letta, raccontata, interrogata, meditata, pregata, offerta, sacrificata, desiderata, consumata; sul silenzio; sugli sguardi; sul sorriso, sui battiti unisoni del nostro cuore.
La Lectio Divina, curata con dovizia di particolari dal relatore, ora dopo ora, giorno dopo giorno, lentamente… ci ha immerse nel significato più recondito delle pagine sulla sequela Christi, secondo Luca, oggetto degli Esercizi.
Nel primo momento comunitario, la Lectio, mentre leggevamo e ascoltavamo attentamente, interrogandoci su “che cosa dice la Parola?”, rivoli di luce alitavano sul peso oscuro di ogni nostro pensiero e … gli animi, a poco a poco, si riscaldavano fino ad accendersi durante il secondo momento, quello riflessivo – personale, la meditatio e l’oratio.
Entrando in dialogo con la Parola “ che cosa mi dice la Parola?” “Che cosa io dico a Dio?”, nel nostro intimo errabondare eravamo colte da stupore, perché l’Acqua, scaturiente a scrosci dal silenzio sonoro della pagina biblica, lacerata e stritolata, se da una parte allagava i meandri del cuore, dall’altra acuiva, spesso in modo spasmodico, la nostra sete di Verità. Di fronte a tale “mistero”, si imponeva solo un attonito tacere della ragione e “ venerari cernuae”.
Nell’approssimarsi del terzo momento, anche esso comunitario come il primo, la collatio, la confusione interiore andava cedendo il posto al bisogno profondo di ascoltarci reciprocamente. Infatti nell’atto della condivisione “che cosa condivido io con il gruppo?”, abbiamo accolto l’una l’altra le sorprese che lo Spirito ci aveva riservato, mentre il fuoco che ci ardeva in petto, si stemperava in rugiadosa tenerezza. Un momento di vero godimento interiore, ma evidente all’esterno!
L’incessante invito alla sequela, cioè “al coinvolgimento di tutta la persona e di tutta l’esistenza nella via dell’ Amore” ha trovato una sosta essenziale durante il nostro cammino eserciziale, nell’adorazione della Croce. Qui l’amore silente di Dio per il “Figlio suo, l’eletto, obbediente fino alla morte ed alla morte di croce, ora reietto e disprezzato dagli uomini”, ha incrociato il nostro silenzio amante, alla luce fioca della cappella. Nell’abbraccio di turno al Crocifisso, ognuna ha potuto “ auscultare” sempre più tenue il delirante battito del suo cuore, che, dal pozzo della sua desolazione, boccheggiando sussurrava: “Da sempre ti ho amata, rimani nel mio amore”. Ora sappiamo non solo con la mente, ma anche con il cuore che l’itinerario di sequela porta alla realizzazione del sé solo attraverso la dimensione del “perdere” cioè dell’amare, superando l’amore. L’ultimo momento della Lectio divina, quello operativo- personale, cioè l’actio altro non è che la Parola, divenuta vita della nostra vita.
A questo punto dobbiamo raccogliere la sfida di una sequela basata sui fatti, non sulle, pur vere, parole o emozioni di determinati momenti e vincerla.
Le giornate degli Esercizi, strutturate in maniera, teologicamente parlando, molto valida, hanno avuto al centro la Celebrazione Eucaristica, “ fonte e apice di tutta la vita cristiana”. Intorno ad essa ruotavano agli altri momenti, in un’armonia di suoni, canti, profumi, luci, ombre, silenzi, abbracci del cuore, intese profonde che conciliava il nostro bisogno di “farci solitudine per divenire amore”. Gli esercizi non sono finiti, continuano per le strade sul passo ubiquo di Dio. Abbiamo ringraziato il nostro Sposo Gesù, che, complice il Padre e lo Spirito, per catturarci all’Unico Amore Trinitario, ci tende continue “trappole” e si serve di tutto, anche di sorelle straordinarie e di … un relatore eccezionale, per testimoniare che “Amore è dove ieri è sempre ancora”.
La Madonna Nikopedia (vittoriosa), sotto il cui sguardo materno abbiamo vissuto gli Esercizi, ripete anche a noi come ai servitori a Cana : “ Qualunque cosa vi dirà… fatela” offrendoci la chiave del “successo”. Siamo in “ottime mani”, coraggio.
Dalla Diocesi di Bari-Bitonto
Insieme in ascolto della Parola di Dio
Nel fine settimana più gelido dell’inverno, presso il centro di spiritualità “Oasi S. Maria”, in Cassano delle Murge, le consacrate dell’Arcidiocesi di Bari hanno goduto, per un tempo più prolungato, del calore che promana dalla Parola di Dio, grazie alla riflessione condotta da Rosalba Manes, consacrata della Diocesi di S. Severo e biblista, circa la lettura orante del testo biblico. La relatrice ha posto in evidenza la sacramentalità della Scrittura luogo della rivelazione del volto di Dio e di un’autentica ermeneutica dell’esistenza umana.
L’esperienza fatta in questi giorni ci ricorda che, se vogliamo dare spessore alla nostra vita spirituale, dobbiamo lasciare tempo a Dio che ha scelto di incontrarci attraverso povere parole umane. Questa frequentazione della Bibbia dovrebbe essere consueta per ogni battezzato e maggiormente per coloro che vivono una consacrazione più specifica, poiché, come avverte S. Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo».
M. Antonietta Notarnicola
Dalla Diocesi di Roma
Consacrazione nell’Ordo virginum in San Giovanni in Laterano di Giuliana Savi
Il 21 Gennaio 2012, festa di S. Agnese Vergine romana e Martire, nella Chiesa di Roma è stata consacrata con il Rito di Consacrazione delle Vergini Giuliana Savi dal Vescovo incaricato per l’ Ordo Virginum di Roma, S.E. Mons Marciante nella Basilica di S. Giovanni in Laterano presso l’altare papale, lo stesso presso cui si recò S. Francesco per l’udienza papale. Giuliana Savi è stata accompagnata all’altare da Rosella Barbieri, prima Vergine Consacrata di Roma e seconda, o forse prima, Vergine Consacrata dopo l’Istituzione del Rito per le vergini che vivono nel mondo. Rosella, consacrata 40 anni fa, ha fornito a suo tempo, preziosi contributi alla stesura del Rito essendo collaboratrice di Mons. Calabuig.
Per l’Ordo Virginum di Roma ieri è stato quindi un giorno di grande festa. Dopo 40 anni di paziente e sofferente attesa finalmente anche a Roma una vergine che vive nel mondo è stata consacrata presso la cattedrale e non presso la propria parrocchia. Dobbiamo ringraziare di questo il nostro Vicario Card. Agostino Vallini che, ricevuto l’incarico dal Santo Padre, ha voluto esaminare con calma e accuratezza le varie realtà diocesane tra cui l’Ordo Virginum di Roma facendosi consigliare dall’allora vicario episcopale e delegato per l’Ordo Virginum, mons. Zagotto e da mons. Montan succedutogli dopo il ritiro per anzianità . L’esame lungo e accurato della nostra realtà ha portato a rivedere i nostri lineamenta, opera ancora non terminata, a nominare un vescovo incaricato per l’Ordo Virginum di Roma e a decidere che il rito vada celebrato in Cattedrale, possibilmente dallo stesso Vicario Generale o dal vescovo incaricato per l’Ordo Virginum in sua assenza.
Giuliana Savi, farmacista dell’ospedale S. Eugenio di Roma, attendeva da anni questo momento essendosi accostata all’Ordo Virginum proprio nel momento di passaggio tra mons. Ruini e mons. Vallini. Molte l’hanno conosciuta negli incontri Nazionali dell’Ordo Virginum che ha sempre frequentato con interesse. Erano presenti le sue amiche vergini consacrate e consacrande di Malta e quasi l’intero Ordo Virginum di Roma . Con gioia e commozione abbiamo accompagnato Giuliana all’altre in processione, portando ognuna la lampada della propria consacrazione. Molte hanno sentito la necessità di indossare anche il vestito della propria consacrazione o comunque qualcosa di chiaro, anche solo una sciarpa come segno e al termine del rito tutte abbiamo recitato insieme la preghiera di S. Ambrogio e abbiamo reso lode a Dio per questa nuova Vergine che ha voluto donare alla nostra Chiesa di Roma.
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